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Storie di ruote

14 Feb

All’asilo fu il trattore; rosso, con le ruote nere, tutto di plastica ma ai miei occhi era un bolide rombante e luccicoso che a tutti i costi doveva essere mio. Facevo la posta a Filippo perché volevo il suo, lui mi piaceva anche un po’, ma a cinque anni a quella cosa non dai un vero nome. Appena lo lasciava mi precipitavo ad afferrarlo e con sommo godimento giravo in tondo per la saletta comunale che all’epoca era la scuola materna che frequentavo, finché non arrivava qualcuno a prendermi e allora dovevo lasciarlo per forza. 

Poi arrivò la prima bici e di anni ne avevo tredici e non avevo ancora l’equilibrio. Lo presi a forza di tentativi sotto il sole cocente di luglio al mare su Ametista, una bici della Bianchi di color rosa chiaro con la quale sperimentai la prima vera sensazione di libertà della mia vita: era come volare. Poco male se non tenevo la destra e se mi fermavo a ogni auto che arrivava alle mie spalle, anche se distante da me; col tempo imparai a portarci sopra i miei fratelli, seduti o in piedi sul portapacchi. I portapacchi di “una volta” erano infatti belli robusti, non come quelli di adesso che sono fil di ferro e a stento ci puoi caricare su un pacchetto, figuriamoci una persona! Era l’86 e dovevo andare in seconda media. Nell’87 poi passai letteralmente tutta l’estate sopra Ametista, con i miei fratelli sulle BMX al seguito oppure da sola. Una volta la parcheggiai su un guard rail vicino alla spiaggia (non c’era bisogno di antifurto all’epoca) e accettai il giro in scooter che mi offrì un certo Marco che poi non ho più rivisto. Immagino che ora sia un quarantenne come tanti, ma all’epoca il suo “Cosa” rosso lucido mi aveva regalato bei momenti di evasione e molta aria in faccia. Da Ametista alla bici successiva passarono diversi anni e adesso avevo venticinque anni, stavo finendo l’università e la tenni un anno in casa davanti al letto, timorosa di portarla fuori e affrontare le salite cagliaritane sentendomi mancare il respiro e così ogni tanto la spolveravo; finché un giorno, iscrittami in piscina con una mia amica, le chiesi: come ci andiamo a nuoto? E lei: in bici, no? Lì mi terrorizzai ma non dissi nulla, mai avrei mostrato paura o esitazione, quindi la mattina dopo alle sei e mezza rispettai l’appuntamento e la seguii. Ricordo ancora la prima discesa dopo aver nuotato: volavo nuovamente dopo dodici anni! Da allora non ne ho più fatto a meno, adesso le bici sono tre, ma ce ne sono state intanto altre due, purtroppo rubate da sconosciuti che spero le abbiano trattate bene, oltre ad aver loro augurato un sacco di emorroidi! 

Il succo della storia è che, dopo tante coppie di ruote, ne stanno per arrivare quattro insieme… Ebbene sì, è proprio  così, arriva Topona – l’auto. Metterò la sua foto appena verrà con me, ma non posso negare che il suo arrivo, oltre che di aspettativa, mi riempie di una certa ansia serpeggiante e qualche conflitto. Sì perché è possibile che proprio io, ciclista urbana convinta, possa anche guidare una scatola meccanica come tante altre persone? Poi il conflitto arriva perché se penso a Topona la penso già come un’amica e ho voglia di vederla e stare un po’ sola con lei, oltre che sperare di portarci dentro le persone che ne saranno contente come me. 

Bene, ho deciso, è un passo necessario e una cosa non escluderà l’altra. Topa, Mia e Vanessa non saranno gelose, anzi, magari ci guadagneranno un po’ di strada in più in qualche posto nuovo e più lontano che finora non potevano raggiungere. Sono sicura che mi sentirò ancora più ricca di quanto mi senta adesso, di cose materiali e non, anche se un pensiero a chi non potrò scarrozzare più lo farò sempre.

Buona strada a tutti.

Alla prossima.